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dediKa2019 GIORGIO AGAMBEN. Colloquio sulla lirica di Patrizia Cavalli

20. POESIEFESTIVAL BERLIN

Colloquio con GIORGIO AGAMBEN e PIERO SALABÈ (Hanser Verlag, traduttore di poesie di Patrizia Cavalli) sulla lirica di Patrizia Cavalli
LE MIE POESIE NON CAMBIERANNO IL MONDO 

SAB 15 GIUGNO 2019 │ ore 18.00
Akademie der Künste, Hanseatenweg 10, Berlin-Tiergarten

In lingua italiana con traduzione simultanea

Biglietti: 10 / 7 €, www.haus-fuer-poesie.org

Das 20. poesiefestival berlin ist ein Projekt des Hauses für Poesie in Kooperation mit der Akademie der Künste.

Patrizia Cavalli non potrà essere presente per motivi di saluti

 
Patrizia Cavalli è nata a Todi e vive a Roma. Le sue ultime raccolte presso Einaudi sono: Poesie 1974-1992 (1992), Sempre aperto teatro (1999); Pigre divinità e pigra sorte (2006); Datura (2013). Con passi giapponesi è il suo primo libro di prose. Fra le sue traduzioni: Anfitrione di Molière e il Sogno di una notte d’estate di Shakespeare. Insieme a Diana Tejera ha pubblicato un libro e un cd di canzoni intitolato Al cuore fa bene far le scale (Voland 2012).

Eine kurze Untersuchung von Patrizia Cavallis Sprache macht deren antithetischen Gestus deutlich: Ihrer einzigartigen Meisterschaft im Einflechten von Zäsuren und Binnenreimen, die häufig den Vers in zwei Hälften spalten und ihn fast zum Stolpern bringen, entspricht ein ebenso kraftvoller wie rettender Gebrauch des enjambements, das den Vers kurz vor seinem Bruch wieder aufnimmt und ihn in die nächste Zeile hinüberführt; Cavallis erstaunlicher prosodischer Begabung, mit der sie die für die Lyrik charakteristische Diskrepanz von Klang und Bedeutung bis zum Äußersten treibt, entspricht eine Gegenbewegung, die jedes Mal den Riß unsichtbar wieder zusammennäht. So erzeugen Cavallis an Zäsuren und Staccati überaus reiche Prosodie sowie ihre klar hypotaktisch strukturierte Rede auf erstaunliche Weise die vielleicht fließendste, konsistenteste und alltäglichste Sprache der italienischen Dichtung des 20. Jahrhunderts.
Giorgio Agamben, L’antielegia di Patrizia Cavalli“, in: Categorie italiane, Laterza 2010. Ü: Piero Salabé

Una breve analisi della lingua di Patrizia Cavalli ne esibisce il gesto antitetico: a una maestria incomparabile nell’ordito delle cesure e delle rime interne, che disfano a volte il verso in due emistichi, lo fanno quasi inciampare, fa riscontro un uso dell’enjambement violento quanto salvifico, che riprende il verso in extremis dalla sua spezzatura per indefinitamente protrarlo nel verso successivo; a una sapienza prosodica stupefacente, in cui la sconnessione fra suono e senso che definisce la poesia è esagerata all’estremo, corrisponde un contromovimento che l’emenda ogni volta con un’invisibile ricucitura. Una prosodia incredibilmente ricca di cesure e staccati, una strutturazione del discorso decisamente ipotattica risulta alla fine non si sa come nella lingua forse più fluida, continua e quotidiana della poesia italiana del Novecento.
Giorgio Agamben, L’antielegia di Patrizia Cavalli“, in: Categorie italiane, Laterza 2010

Un filosofo che non si pone un problema poetico non è un filosofo. Ciò non significa, però, che la scrittura filosofica debba essere poetica. Essa deve, piuttosto, contenere le tracce di una scrittura poetica che dilegua, deve esibire in qualche modo il congedo della poesia. Platone lo ha fatto componendo un’ampia e mirabile opera letteraria, per poi dichiararla priva di serietà e di valore e contaminando intenzionalmente ogni volta la tragedia con il mimo e la commedia. Per noi, che non possiamo piú scrivere dialoghi, il compito è ancora più arduo. Se la scrittura tradisce sempre il pensiero e se la filosofia non può, però, semplicemente rinunciare alla parola, allora, nella scrittura, il filosofo dovrà cercare il punto in cui essa sparisce nella voce, dar la caccia, in ogni discorso, alla voce che non è mai stata scritta – all’idea. L’idea è il punto in cui il linguaggio significante si abolisce nel nome. E filosofica è quella scrittura che accetta di trovarsi ogni volta senza lingua di fronte alla voce e senza voce di fronte alla lingua.”
Giorgio Agamben, Autoritratto nello studio, nottetempo 2017 (p. 116)

In collaborazione con Hauses für Poesie e Akademie der Künste.

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